endum del 2 giugno del '46 tributò un ultimo riconoscimento alla Monarchia sabauda.
Non fu, almeno per i Sardi, semplicemente un segno o un riflesso dell'arretratezza economico - sociale di un Mezzogiorno succube dei ceti agrari ed escluso dalla partecipazione all'esperienza della lotta di liberazione, come gran parte della storiografia anche locale lascia intendere. Piuttosto è da considerare anche che l'esperienza sabauda e le conquiste politiche e civili che essa consentì, tanto più esaltanti quanto più sofferte, pur tra molte contraddizioni, ricondussero la Sardegna nell'alveo della storia e della civiltà italiane e restituirono ai Sardi quella dignità, negata da cinque secoli di anacronistico regime feudale, per la quale s'era anelato invano il ritorno a "com era acustumat en temps dels pisans".
Le diverse "anime" del tessuto sociale, a grandi linee già descritte in riferimento alle dinamiche locali inquadrate per il periodo prebellico, diedero vita subito dopo la guerra, anche a Sìnnai, a sezi Sinnai
Lo stemma
 
Il nome e l'origine
 
Il territorio
 
 
Il patrimonio architettonico
 
La società civile
 
Le parrocchie
 
    Le associazioni
  • Misericordia
  • MA-SI-SE
  • Sub Sinnai
  • Pro Loco
  • I.S.O.L.A.
  •  
    Calendario manifestazioni
     
    Home

    LA STORIA

    DALL'ETA' MODERNA AL PERIODO ATTUALE

    La fine della dominazione catalana nel 1479, in seguito all'incoronazione di Ferdinando II di Castiglia, giunse un anno dopo la definitiva caduta del marchesato d'Arborea e la completa pacificazione della Sardegna in seguito alla battaglia di Macomer del 1478. I fatti non ebbero particolare incidenza sull'assetto istituzionale dell'Isola, le cui linee di fondo permarranno, sostanzialmente non intaccate, per tutto il periodo spagnolo e oltre l'avvento dei Savoia nel 1720, fino al 1847 anno in cui la fusione con il Piemonte consentirà l'estensione alla Sardegna delle forme amministrative italiane.
    Nel 1603 la contea di Quirra venne trasformata in marchesato, Sìnnai continuò a far parte di quest'ultimo e appartenne prima ai Centelles e successivamente ai Cervellon, Grandi di Spagna, ed ai loro eredi fino alla soppressione del feudalesimo (attuata con una serie di provvedimenti, a partire dal 1836, ad opera di Carlo Alberto).
    La Storia di Sìnnai, nei secoli di dominazione spagnola e piemontese, fino all'abolizione del feudalesimo ed allo Statuto Albertino, è una storia locale fatta di lotta per la sopravvivenza combattuta contro le incursioni moresche presidiando il sistema di avvistamento e difesa incentrato sulle torri costiere, contro le ricorrenti carestie, i flagelli della natura, le pestilenze, le leve ed i gravami feudali; una storia costantemente caratterizzata dalla tendenza all'espansione territoriale, vitale in un'economia sempre più orientata verso l'allevamento estensivo del bestiame, che rendeva estremamente conflittuali i rapporti con le comunità vicine e, a causa dei frequenti sconfinamenti del bestiame nei seminativi, tra pastori e contadini.
    La vita sociale di quei secoli si esprimeva soprattutto con l'appassionata partecipazione ai momenti di festa religiosa e profana che accompagnavano i ritmi dei lavori agricoli. Mentre i rapporti economici, costretti nell'angusto ambito locale, riguardavano prevalentemente la stipulazione dei contratti di lavoro agricolo in un immutato assetto sociale stratificato per classi di abbienza, rigidamente stabilite sulla base della ricchezza posseduta in termini di terreni e strumenti di lavoro.
    Tra le piaghe sociali che affliggevano le popolazioni la più devastante risultava l'usura, che soffocava ogni possibilità di sviluppo (già fortemente limitata dai metodi arcaici e precari di uso collettivo delle terre, ancora articolato sull'alternanza annuale del vidazzone, riservato alla coltura cerealicola, e del paberili, destinato alla produzione delle leguminose per l'alimentazione umana ed a prato per il mantenimento del bestiame domestico da lavoro, e sul godimento collettivo degli ademprivii o diritti di pascolo, legnatico, ghiandatico ecc.).
    Il sistema garantiva alla stragrande maggioranza delle famiglie rurali una mera e misera sopravvivenza, a tutto vantaggio delle rendite parassitarie feudali, ecclesiastiche e dei maggiorenti. Contro l'usura si introdussero i Monti Granatici già dal 1624, ad opera degli spagnoli, ma per osservare la loro reale affermazione occorrerà aspettare la riorganizzazione attuata dal ministro Bogino in periodo sabaudo. Purtroppo, da depositi di granaglie da semina per il soccorso ai contadini, nei primi decenni dell'ottocento, i Monti si trasformarono spesso in serbatoi da cui attingere senza criterio per il mantenimento della famiglia reale, dell'università e degli ospizi.
    L'abuso decretò, verso la metà del secolo, la soppressione di gran parte di essi: nella Provincia di Cagliari risultarono più che dimezzati passando da 250 a 115 nel periodo tra il 1863 ed il 1875. Sìnnai difese e mantenne una solida gestione del proprio Monte Granatico, la cui funzione, svolta da istituzioni più moderne quali il Consorzio Agrario, è ancora attuale.
    Della condizione di stagnazione generale dell'economia e della vita sociale feudale costituiscono documenti di rilievo storico i censimenti compilati a partire dal 1678.
    I fatti di maggior clamore storico lambirono soltanto la vita locale.
    L'assassinio, il 21 luglio 1668, del Vicerè Marchese di Camarassa e la successiva repressione della congiura nobiliare coinvolsero il nobile Don Francesco Marti, signore di Sìnnai, che venne sottoposto a procedimento giudiziario.
    Dopo il passaggio della Sardegna all'Austria in virtù del trattato di Rastadt del 1714, il tentativo di riconquista dell'Isola da parte degli spagnoli, che portò all'assedio di Cagliari del 1717 ed allo sbarco nel golfo di Quartu del marchese di Leyda, produsse lo sfollamento a Sìnnai, presso le famiglie che nel villaggio possedevano le dimore per il rifugio estivo, di molti cagliaritani. Tra questi i genitori di Giuseppe Stanislao Concas, nato a Sìnnai il 7 settembre del 1717, che divenne illustre vescovo di Bosa.
    Le tensioni provocate a Cagliari dal tentativo di invasione operato dai rivoluzionari francesi all'inizio del 1793, ancora una volta, determinarono il massiccio trasferimento a Sìnnai delle famiglie cagliaritane più facoltose che vi potevano essere ospitate. Nel 1795 moriva a Sìnnai il Marchese Giovanni Maria Vivaldi Pasqua di Castelvì e la consorte, Maria Zatrillas Marchesa di Villa Clara, gli eresse un monumento nella parrocchiale. Il 20 giugno del 1796 nacque a Sìnnai, da Giovanni Amat marchese di S.Filippo e da Eusebia Amat Gambella, Luigi Amat che diverrà cardinale di Santa Romana Chiesa e fine diplomatico ed uomo di stato nel cruciale periodo risorgimentale.
    La minaccia francese del 1793 suscitò anche a Sìnnai una mobilitazione appassionata. La partecipazione massiccia fece superare largamente il contingente prefissato di nove uomini destinato al distaccamento del marchese di San Severio.
    La parrocchia locale mise a disposizione la cifra non trascurabile di mille scudi.
    La compatta adesione alla difesa dell'Isola trovava motivazione anche nella volontà dei gruppi di potere locali, tra i quali infuriavano lotte politiche accesissime, condotte spesso anche con il confronto armato, di evidenziare la loro forza e di assumere meriti spendibili nel perseguimento del controllo della vita pubblica.
    Un gruppo di giovani, in particolare, andava assumendo una posizione di radicale contestazione contro l'ordine sociale e religioso. Il gruppo condotto da Priamo Ligas e composto, tra gli altri, dai fratelli del ben noto avvocato sìnnaese Luigi Serra, che operava a Cagliari, formò una squadra di oltre quaranta armati: a Sìnnai come altrove, la lotta ai francesi fu solo un primo passo verso quella mobilitazione diffusa che poco tempo dopo innescò la rivolta antifeudale.
    L'avvocato Luigi Serra, nel 1801, processato per attività insurrezionale contro il governo sabaudo, subirà la condanna a venti anni di carcere. La condanna alla galera a vita e la tortura della corda per estorcere i nomi dei presunti complici, furono riservate invece all'umile banditore Antonio Ariu, cinquantaquattrenne, accusato di aver travisato un pregone, divulgato il 18 gennaio del '93, per lasciar intendere alla popolazione l'esistenza di intelligenza del vicerè con i francesi.
    La conclusione delle vicende narrate è storia dell'intera Sardegna.
    Le carestie dei primi anni del 1800 e le imposizioni straordinarie per il mantenimento della corte reale in fuga dal Piemonte occupato dai francesi, gettarono nella prostrazione le popolazioni: anche a Sìnnai è rimasta proverbiale "sa famini de s'annu doxi".
    Nei primi decenni del XIX secolo si svolse anche il lungo processo che portò a stabilire, in forma definitiva, i confini del territorio comunale.
    Il provvedimento finale, sancito dal vicerè Gabriele de Lannay, fu firmato il 3 maggio del 1845 dal sindaco di Sìnnai Raffaele Monni e da quello di Mara Salvatore Podda.
    L'accordo mise termine a secoli di conflitti tra le comunità, generati dall'uso promiscuo dei terreni delle ville scomparse per lo spopolamento nel periodo spagnolo, e vide il notevole ampliamento del territorio assegnato al Comune di Sìnnai.
    Una prima ripartizione fu attuata nel 1807 dal giudice della Reale Udienza Giovanni Battista Lostia. Successivamente l'accordo fu modificato dal giudice Francesco Mossa con atto del 20 giugno 1825. Ma i contrasti tra le comunità non cessarono, per cui fu necessario ritoccare i confini nel 1843. Infine, nel 1845, con ulteriori modifiche rese necessarie dalla ricostituzione del popolato di Carbonara (Villasimius), si giunse alla perimetrazione definitiva.
    La soppressione del regime feudale, l'unificazione del Regno Sardo - Piemontese, l'abolizione delle decime e dei privilegi ecclesiastici e la promulgazione dello Statuto Albertino crearono le condizioni per l'eccezionale risveglio culturale, civile ed economico che, specie dopo le imprese risorgimentali e l'Unità Nazionale scosse la nostra Isola. La costante presenza a Sìnnai, per le ragioni più volte enunciate, di vari esponenti e personalità della classe dirigente cagliaritana, indusse un atteggiamento di emulazione nei confronti della città che accelerò le trasformazioni e favorì la maturazione di un ceto politico locale ben integrato nelle istituzioni sabaude.
    Nell'abitazione del Maggiore Giovanni Besalduch, che fu dimora, in più occasioni, della famiglia reale durante gli anni di permanenza in Sardegna, trovò amicizia ed ospitalità Alberto Ferrero della Marmora, impegnato nelle sue escursioni scientifiche che produssero la prima vera carta topografica dell'Isola. Accompagnava Alberto La Marmora, collaborando ai suoi rilevamenti topografici, il generale Carlo De Candia, al cui lavoro catastale dobbiamo il primo disegno urbanistico del paese di Sìnnai ed il completo inquadramento territoriale.
    Nei combattimenti in Crimea, a Solferino ed a Custoza si distinsero per il loro valore vari cittadini di Sìnnai: dal pluridecorato con medaglia d'argento Antioco Ignazio Palmas, al sergente maggiore Salvatore Zedda, al veterano Francesco Corda decorato al valore, al primo capitano Salvatore Uda, al colonnello Paolo Saba.
    Verso la metà dell'ottocento, nelle pregevoli residenze attorno al piazzale della chiesa dimoravano i Consoli Generali di Inghilterra Guglielmo Craig e di Francia Emanuele Cotard. L'imprenditore francese di Martiguez Benvenuto Dol (genero del Craig avendone sposato la figlia Jessica), appaltatore delle saline di Cagliari, attuava la bonifica e la messa a coltura con moderne e razionali tecniche di coltivazione della vallata malsana di Geremeas e, ampliandola con notevole esborso di denaro, della tenuta di Is Murdegus a Sìnnai, già di don Giovanni Besalduch, abbandonata da molto tempo e portata a nuovo splendore con il nome di Bellavista. Per la prima volta, nelle tenute del Dol, i sinnaesi ebbero modo di conoscere l'esistenza delle macchine per i lavori agricoli e di rendersi consapevoli del forte limite allo sviluppo rappresentato dall'eccessivo frazionamento dei fondi produttivi (retaggio di un passato economico aggrappato alla spasmodica ricerca della facile rendita, che aveva visto i beni ecclesiastici e demaniali frantumati in piccoli lotti per conseguire i più alti ricavi dalla vendita ed i patrimoni familiari, ai quali non si annetteva una funzione produttiva aziendale, polverizzarsi nelle divisioni ereditarie).
    Le intraprese del Dol si interruppero bruscamente a causa della sua prematura scomparsa, all'età di quarantasette anni, il 7 aprile del 1875. Rimasero nel paese l'esempio ed il ricordo quasi mitico di quelle imprese, che sostennero, anche a distanza di tempo, ammirevoli iniziative imprenditoriali locali: già nei primi decenni del novecento da Sìnnai, paese sostanzialmente privo di seminativi e di aree di pianura, partivano per la Trexenta ed il Campidano, con i mietitori, le spigolatrici ed i commercianti di cestini e canestri di fieno, le prime trebbiatrici meccaniche e le prime macchine aratorie; in molti casi, importanti risorse accumulate con attività professionali e commerciali furono finalizzate ad iniziative di accorpamento fondiario; ogni salto praticabile dei terreni cussorgiali assegnati in proprietà dopo il 1865 e, successivamente, dopo il 1908, la cui modesta utilizzabilità agricola era compensata dalla discreta estensione dei lotti, si trasformò in audaci impianti di mandorleto ed uliveto che avrebbero garantito ad intere generazioni un reddito considerevole. (Sarebbe auspicabile un recupero sistematico delle macchine e degli attrezzi agricoli di quell'epoca, ancora conservati presso le famiglie locali, per l'organizzazione di un museo etnografico e della civiltà contadina; così come è da perseguire una valorizzazione anche a fini turistici dei siti montani, ubicati prevalentemente a ridosso della fascia costiera e fin verso le cime del Mont'Arbu e dei Sette Fratelli, in cui si sviluppò la mandorlocoltura e furono costruiti veri e propri nuclei abitativi rurali).
    Ancor prima delle iniziative del Dol, l'esempio della possibilità di una più razionale organizzazione delle produzioni agricole fu rappresentato dalla creazione dell'azienda di Tasonis, impiantata dal Cotard nel 1825 su circa 4000 ettari di territorio. La centenaria storia di Tasonis merita una breve considerazione specifica. Nel 1850, con il ritorno del Cotard nella sua residenza di Montat in Francia, la tenuta passò all'inglese Guglielmo Ergerston Spicer. A questi subentrerà, nella cura dell'azienda, il conte austriaco Des Fours Walderode, la cui famiglia vi risiedette fino allo scoppio del primo conflitto mondiale, intrattenendo intensi e cordiali rapporti con il paese di Sìnnai.
    Dopo un lungo periodo di assenza, durante il quale la villa e la tenuta di Tasonis rimasero affidate ad un amministratore cagliaritano e concesse in affitto all'Opera del Buon Pastore del Mons. Virgilio Angioni, negli anni cinquanta del nostro secolo i Des Fours Walderode tornarono ad occuparsi della loro proprietà, nel frattempo notevolmente assottigliatasi, per cederla ad una società che tentò un'ultima iniziativa di ripresa produttiva.
    Il fallimento del progetto e l'acquisizione dei terreni da parte di un'impresa di una città vicina condussero, negli anni settanta, ad uno squallido intervento speculativo i cui risultati disastrosi dovranno essere risanati con un'adeguata azione di recupero urbanistico da prevedersi nel P.U.C.
    Accanto agli interventi citati, la continua presenza a Sìnnai di personalità di diversissima provenienza e cultura alla ricerca di più sicure e confortevoli condizioni di vita e di occasioni di intrapresa economica, produsse la creazione di numerose tenute con ville, orti e parchi. Il fenomeno interessò il centro abitato con gli orti Casella, Pautasso e Pischedda, con la villa Pavani e con la villa Marini (in cui dimorò, appartenendo a quella famiglia, il pittore Felice Melis Marini) ma, soprattutto, caratterizzò lo sviluppo della frazione di San Gregorio che ancora si presenta come un borgo di eccezionale valore urbanistico, architettonico ed ambientale.
    Il confronto spinse all'emulazione le famiglie locali che, con i loro pregevoli interventi edilizi, impreziosirono il nucleo più centrale del paese, consegnandoci un patrimonio storico - architettonico di particolare rilevanza che merita l'impegno serio dell'Amministrazione comunale nella salvaguardia e recupero del centro storico.
    La seconda metà dell'ottocento fu anche un proficuo periodo di realizzazioni da parte dell'Amministrazione pubblica locale, rimasta profondamente coinvolta nel processo di radicali trasformazioni in atto. Gli esempi che venivano dal capoluogo e la costante presenza nel paese di qualificate figure del mondo politico, culturale ed economico cittadino, costituirono un'ulteriore spinta verso iniziative che segnarono il futuro di Sìnnai.
    Tra il 1855 ed il 1860, sulle aree delle abitazioni dell'ex console Cotard e dei notai Francesco Sotgiu e Lorenzo Saddi (questi ultimi, in tempi diversi, sindaci del paese) e sulla contigua area dell'antica cappella di S. Marco, con fondi comunali e con il ricorso ad un mutuo della Cassa Centrale di Depositi e Prestiti, (progetto redatto dall'ingegnere Giuseppe Cappai e realizzato dall'impresa di Raffaele Saddi), fu costruito il Palazzo Civico, in cui furono dislocati gli uffici amministrativi, la scuola maschile e femminile con gli alloggi per le maestre, la pretura e le carceri mandamentali (Sìnnai fu capoluogo del Mandamento comprendente anche Maracalagonis, Settimo S.P. e Burcei) con l'alloggio per la famiglia del custode, il mercato civico, nonché un nuovo oratorio da rendere a disposizione della Chiesa.
    Nel sottosuolo, rimasta ubicata in parte sotto l'antistante piazza, probabilmente a causa di un arretramento del fabbricato deciso a lavori iniziati, fu costruita una capiente cisterna per garantire l'approvvigionamento della migliore acqua potabile alle famiglie. Nel medesimo periodo si acquisirono dalla Parrocchia i locali della Colletta, parzialmente già goduti in affitto, per farne il casermaggio dei Cavalleggeri di Sardegna e dei Carabinieri Reali di stanza a Sìnnai.
    Nel 1867 si inaugurò la diga di Corongiu, nel territorio di Sìnnai, per l'approvvigionamento idrico della città di Cagliari. L'opera, dell'Ingegnere Felice Giordano, fu la prima di quel genere in Sardegna e avviava a soluzione il problema del soddisfacimento della millenaria sete di Cagliari (con grande rammarico si è assistito alcuni decenni fa alla demolizione della prestigiosa costruzione).
    L'Amministrazione civica di Sìnnai non stette a guardare: rinunciando ai 1025 ettari del ghiandifero comunale S'Ollioni di Mont'Arbu, che vendette al genovese Bartolomeo Sanguinetti, richiedendo un sussidio alla Provincia ed indebitandosi per trent'anni con la Cassa Depositi e Prestiti, su progetto dell'ingegnere Gustavo Ravot e con lavori eseguiti dall'impresa di Carlo Barbera, costruì il proprio deposito d'acqua completo di impianto di filtraggio e della condotta di collegamento all'abitato: la diga di S.Barzolu sarà il terzo sbarramento di un corso d'acqua realizzato in Sardegna; inaugurata il 15 luglio del 1894 con uno spettacolare zampillo nella Piazza Chiesa rappresenta ancora un impianto fondamentale del sistema di approvvigionamento idrico del paese, cui sono connessi il nuovo invaso a monte costruito negli anni sessanta e la rete di pozzi artesiani nella vallata sottostante. (Appare doveroso un riferimento al capo mastro Gaetano Bardi che perì tragicamente sul lavoro).
    Numerose furono nella seconda metà dell'ottocento le iniziative di ricerca mineraria in tutto il massiccio del Serpeddì che portarono ad un avvio di sfruttamento del filone argentifero (galena argentifera) di Tuviois - Serr'e s'Illixi di cui, oltre alle antiche miniere, restano pregevoli esempi di architettura mineraria.
    Nel 1891 fu inaugurato il nuovo cimitero, l'attuale, che sostituiva l'antico camposanto a lato della chiesa parrocchiale di cui un romanzo di Ottone Bacaredda ricorda l'iscrizione in sardo posta all'ingresso: "Totus", ad indicare l'ineluttabile destino comune.
    Il Bacaredda, ospite abituale dei Dol nella loro villa di Piazza Chiesa, in un passo dell'opera pubblicata con il titolo "Cuor di donna" nel 1872, riferisce di Sìnnai: "In tutto il Campidano, Sìnnai è forse il paese più ridente e più salubre. Ha le sue vie selciate, palazzi e palazzine a garbo, una piazzetta elegante, un campanile rifatto a nuovo ed una attiva, industre popolazione di belle donne e di uomini vigorosi".
    Il giudizio di Ottone Bacaredda trova riscontro in quelli di altri autorevoli viaggiatori e studiosi che percorsero in quel secolo la Sardegna, tra i quali il canonico Angius ed il generale Conte Alberto Ferrero della Marmora. Erano lodati la vivacità il coraggio e la dedizione al lavoro dei Sìnnaesi, e del "bel villaggio" si scriveva: " Qui la massima parte delle famiglie sono possidenti e generalmente vivesi in certa agiatezza. Nel paese gli indigenti sono pochissimi ed è raro che vedasi un mendicante".
    Nel 1903 fu inaugurato lo stabilimento forestale di "Sa Pira", in un'area sottoposta a riforestazione anche con lo scopo di prevenire i ricorrenti disastri prodotti dalle alluvioni nei paesi a valle. In quel compendio si terrà la prima Festa degli Alberi celebrata in Italia.
    Il nuovo secolo si presentò nell'Isola all'insegna di una grave crisi economica interessante sia il settore agricolo sia quello industriale, con effetti devastanti sulle classi sociali più deboli dovuti all'inarrestabile rincaro dei prezzi.
    Nel maggio del 1906, esplosero proteste e scioperi a Cagliari ed in tutto il Campidano. Anche a Sìnnai vi furono manifestazioni che però non giunsero a turbare l'ordine pubblico.
    A differenza di altri centri le rivendicazioni, che trovarono la promessa di accoglimento da parte delle autorità locali, assumevano un carattere inquadrabile facilmente in schemi di economia liberale: in sostanza i dimostranti chiedevano, per il tramite del loro rappresentante, il sarto Amatore Lecca, la riduzione generalizzata del carico fiscale e contributivo ed il recupero di risorse sostitutive attraverso la riduzione dei costi dell'amministrazione e del servizio sanitario municipali ed attraverso la riscossione diretta dei canoni daziari, reputata più economica del sistema esattoriale in vigore.
    Di ben più ampia portata e di più profondo e vasto coinvolgimento, anche emotivo, fu invece la vicenda delle attribuzioni alle famiglie locali dei terreni cussorgiali. Sull'annosa questione calò la sentenza della Giunta d'Arbitri di Cagliari del 28 luglio 1906 che confermò sostanzialmente il dispositivo del pronunciamento della Corte d'Appello di Cagliari del 18 ottobre 1881. La sentenza proclamava la natura demaniale di vaste aree boscate ed a ghiandifero, limitando il riconoscimento del diritto di proprietà privata a 34 zone circoscritte alle aree interessate da interventi colturali stabili.
    Il provvedimento procurò un malcontento generale e gravi tensioni in una Comunità ancora prevalentemente pastorale, che aveva saputo difendere efficacemente, anche nei secoli del feudalesimo, il diritto all'uso degli spazi vitali per la sopravvivenza della propria economia.
    La reazione popolare, che trovò un attento interprete nel sindaco Cav. Giuseppe Lobina, produsse la sospensione da parte del Governo della decisione della Giunta d'Arbitri. I fatti meritarono l'attenzione del Ministro dell'Agricoltura, il liberale Francesco Cocco Ortu, cagliaritano, profondo conoscitore della realtà e delle famiglie di Sìnnai.
    Su iniziativa del Ministro, al problema fu data risposta con un apposito provvedimento inserito nella legge n. 844 promulgata il 10 novembre 1907 e con la successiva adozione del regolamento di attuazione, approvato con il Regio Decreto 25 agosto 1908, n. 548. Acquisiti gli strumenti legali per stabilire le modalità di accertamento dei diritti soggettivi, si avviò una lunga fase di lavoro giudiziario, ancora non conclusa, per la retrocessione alla proprietà privata di oltre 10.000 ettari di territorio comunale.
    Alla stesura della legge del 10 novembre 1907, proposta dal Cocco Ortu e contenente provvedimenti speciali per la Sardegna che riguardavano i monti frumentari, le casse ed i consorzi agrari ed i bacini di irrigazione, diede un contributo determinante un altro parlamentare sardo, l'ingegnere Antonio Cao Pinna.
    Antonio Cao Pinna nacque a Sìnnai da un'antica famiglia della nobiltà cagliaritana il 2 dicembre 1842. Fu tra i maggiori esponenti liberali sardi del periodo, legato da un solido rapporto di amicizia al Cocco Ortu strinse con esso un forte sodalizio, durato fino alla rottura provocata dalla decisione di candidarsi alla Camera nel collegio di Serramanna. Parlamentare dal 1892 al 1919, in precedenza aveva ricoperto incarichi amministrativi ed esecutivi nel Comune di Cagliari. Fece parte, con Alberto Castoldi, Pasquale Prunas Tola, Enrico Lay, Salvatore Parpaglia e con lo stesso Francesco Cocco Ortu, del gruppo dell'ala liberale dello schieramento politico locale che il 13 ottobre del 1889 fondò il giornale, allora settimanale, "L'Unione Sarda".
    La partecipazione dell'Italia al primo conflitto mondiale riservò un ruolo particolare alla Sardegna che versò il più grave contributo di sangue e di sacrifici per la vittoria sugli austro ungarici e germanici. La leggendaria "Brigata Sassari" che inquadrò gran parte dei militari sardi e meritò sui più terribili campi di battaglia del Carso e sul Piave le più alte onorificenze mai concesse a reparti in armi, ebbe origine a Sìnnai ed a Tempio Pausania dove nei primi mesi del 1915 vennero costituiti i reggimenti 151° e 152° della "Sassari".
    La memoria di quei fatti è particolarmente presente tra i sìnnaesi, alimentata, più che dall'orgoglio, dal ricordo del sacrificio estremo di oltre sessanta giovani e dall'esperienza del lungo e dignitoso dolore delle famiglie. L'angoscia per i figli lontani non impedì, durante gli anni del conflitto, alle famiglie di Sinnai di rivolgere un gesto di conforto ai giovani prigionieri austriaci impiegati in lavori forestali nella vicina pineta. Anche di ciò si conserva, vivo, il ricordo.
    I fatti politici che seguirono la fine del primo conflitto mondiale, a Sìnnai come in tutta la Sardegna, furono segnati dalla riscoperta dell'identità regionale e della consapevolezza di aver saputo interpretare un ruolo di primaria importanza nelle vicende della Nazione.
    Le convulsioni politico - istituzionali che portarono alla soppressione delle libertà democratiche ed all'affermazione del fascismo, a differenza di altri centri dell'Isola, non ebbero gravi ripercussioni a Sinnai, a causa di diverse motivazioni: la scarsa consistenza del ceto impiegatizio, il più sensibile alle lusinghe del nuovo regime; la preponderanza delle classi dei possidenti agricoli ed allevatori, economicamente forti, tradizionalmente conservatrici e, per la considerazione ricevuta dai governi prefascisti, profondamente legate alle personalità ed alle correnti del pensiero liberale; il formarsi di una classe di salariati che, nelle fabbriche della città, nei centri minerari e nelle vicine saline venivano a contatto con i mai soffocati fermenti dell'ideologia socialista; la presenza di un ceto borghese dedito alle professioni liberali, di saldi principi etici e sociali, animato spesso da sentimenti autonomistici, che si rapportava a quella parte della borghesia cagliaritana ispirata a figure come il Lussu o il Dessy Deliperi (ultimo sindaco di Cagliari prima della parentesi fascista, ben noto a Sìnnai anche a causa di legami familiari e di interessi economici sul posto) o, ancora, come il professore Luigi Cocco Serreli, sinnaese, pioniere della radiologia in Sardegna, che perse l'insegnamento presso la clinica chirurgica dell'Università di Cagliari per aver rifiutato l'iscrizione al partito; il forte riferimento ideale e culturale, oltre che religioso, rappresentato per tutto l'ampio blocco sociale fatto di piccoli contadini, mezzadri, pastori ed artigiani da una chiesa locale particolarmente attenta alla sua autonomia ed alle sue prerogative.
    Queste furono le condizioni che consentirono il permanere a Sìnnai, senza eccessive noie, di un discreto dibattito, se non politico almeno culturale, anche durante il ventennio.
    Fatto di rilievo di quel periodo fu l'accentramento amministrativo attuato con il provvedimento di legge del 20 maggio 1928, in virtù del quale i Comuni di Settimo S.P. e di Maracalagonis vennero uniti a Sìnnai per costituirne frazioni. L'autonomia fu restituita solo nel febbraio 1946, dopo il ritorno alla democrazia.
    Nel 1933 l'attivismo della Parrocchia locale, in particolare delle Associazioni Giovanili dell'Azione Cattolica e del reggente Mons. Giuseppe Paderi, meritò il prestigioso riconoscimento della convocazione a Sìnnai del Congresso Eucaristico Diocesano.
    Negli anni trenta furono costruite alcune importanti opere pubbliche, ancora oggi impiegate per le funzioni per le quali furono concepite: le nuove dighe sul rio Corongiu portarono la capacità di invaso complessiva ad oltre cinque milioni di metri cubi e consentirono l'allargamento dell'erogazione dell'acqua potabile ad altri centri dell'hinterland di Cagliari; a Sìnnai venne costruito il nuovo edificio destinato a scuola elementare, rimasto a lungo l'unica struttura specifica a disposizione dell'istruzione pubblica.
    Dopo una sporadica partecipazione alle imprese belliche del 1935 (guerra d'Etiopia) e del 1936 (campagna di Spagna), nel quaranta, anche Sìnnai rivisse l'incubo del richiamo dei giovani alle armi e, nei lunghi anni del conflitto e della guerra partigiana nel continente, si ripeterono le tragiche esperienze dei lutti, dell'attesa angosciosa dei dispersi, della fame, della disperazione degli sfollati in fuga dalla città bombardata. Il triste esodo a Sìnnai in occasione dei bombardamenti su Cagliari fu, però, ancora una volta l'occasione in cui si stabilirono solidali e sinceri rapporti di amicizia tra le Comunità: fu anche tra gli sfollati ed i militari di stanza a Sìnnai che il Canonico Eugenio Puxeddu, già Cappellano Capo della Sardegna, raccolse la solidarietà che gli consentì , in pochi anni e nonostante le difficoltà del periodo, di realizzare la sua idea di un asilo per l'infanzia.
    Nel soccorso ai tanti feriti dei bombardamenti si prodigò, tra gli altri, operando instancabile in ripari di fortuna nelle grotte dei colli di Cagliari, il chirurgo sìnnaese Alfonso Guglielmo Ligas. Il professor Ligas, seguendo una prestigiosa tradizione locale nel campo della medicina, conquistò fama internazionale per i suoi studi e per i primi interventi sul cuore, sempre conclusi con pieno successo. Oltre al Prof. Ligas ed al già menzionato professor Luigi Cocco Serreli, è da ricordare la figura del medico chirurgo Sebastiano Perra che, nato a Sìnnai a metà del settecento, fu allievo di Pietro Leo ed operò a Cagliari fino alla scomparsa avvenuta nel 1821; di lui si conoscono parecchie opere scientifiche sulla prevenzione delle malattie e sulle febbri epidemiche che nell'inizio secolo imperversavano nella città. Merita inoltre la citazione il dottor Pietro Cocco, caritatevole medico dei poveri fino all'età di ottant'anni, insignito dall'Ordine dei Medici di Medaglia d'Oro alla Sanità.
    Finita la guerra, il ripristino delle libertà democratiche permise alle diverse culture politiche di esprimersi e di organizzare pubblicamente la propria partecipazione all'amministrazione della Cosa Pubblica.
    Prima di affrontare, nel suo ambito, con rinnovata passione civile e convinta partecipazione le sfide e le responsabilità richieste dalle nuove Istituzioni Democratiche e dalla ricostruzione materiale, morale e civile della Nazione, la Comunità di Sìnnai, come tutta la Comunità della Sardegna, in occasione del referendum del 2 giugno del '46 tributò un ultimo riconoscimento alla Monarchia sabauda.
    Non fu, almeno per i Sardi, semplicemente un segno o un riflesso dell'arretratezza economico - sociale di un Mezzogiorno succube dei ceti agrari ed escluso dalla partecipazione all'esperienza della lotta di liberazione, come gran parte della storiografia anche locale lascia intendere. Piuttosto è da considerare anche che l'esperienza sabauda e le conquiste politiche e civili che essa consentì, tanto più esaltanti quanto più sofferte, pur tra molte contraddizioni, ricondussero la Sardegna nell'alveo della storia e della civiltà italiane e restituirono ai Sardi quella dignità, negata da cinque secoli di anacronistico regime feudale, per la quale s'era anelato invano il ritorno a "com era acustumat en temps dels pisans".
    Le diverse "anime" del tessuto sociale, a grandi linee già descritte in riferimento alle dinamiche locali inquadrate per il per